ABITARE SUPPORTATO E CO-HOUSING: L’ESPERIENZA DELLA COMUNITA’ TERAPEUTICA IL TIMONIERE DI SANTA GIUSTINA DI MESOLA (FE)

by | Dec 3, 2024 | Notizie

ABITARE SUPPORTATO E CO-HOUSING: L’ESPERIENZA DELLA COMUNITA’ TERAPEUTICA IL TIMONIERE DI SANTA GIUSTINA DI MESOLA (FE)

Mauro Orioli, Zabina Osti, Angela De Luca, Cristina Sorio

Riferimenti:

Mauro Orioli, Psicologo Psicoterapeuta Responsabile Comunità Terapeutica Il Timoniere – Santa Giustina Di Mesola,

Cristina Sorio, Sociologa Responsabile U.O.S. Prevenzione, Sistemi informativi, Qualità DAISMDP Ausl Ferrara

Zabina Osti, Psicologo Comunità Terapeutica Il Timoniere;

Angela De Luca, educatore, Comunità Terapeutica Il Timoniere

Abstract

La casa è un determinante sociale della salute. Ad oggi, le evidenze scientifiche indicano il cohousing come forma di coabitazione che riduce l’isolamento, ha un impatto positivo sulla qualità della vita e giova alla salute fisica e mentale. Nel 2013 il documento approvato in Conferenza Stato Regioni definì le diverse tipologie di strutture, basate sia sul livello di intervento terapeutico riabilitativo che su quello dell’intensità assistenziale, nell’idea che una progressiva emancipazione del paziente potesse realizzarsi attraverso soluzioni residenziali con diverso livello di protezione e di intensità assistenziale per raggiungere finalmente l’indipendenza abitativa, condizione necessaria per l’inclusione sociale e lavorativa. In questo articolo riportiamo l’esperienza della comunità terapeutico riabilitativa “Il Timoniere” per raccogliere e sintetizzare la relazione tra cohousing e benessere e salute con un approccio valutativo basato sulle evidenze.

Introduzione

Per delineare con chiarezza il contesto del Cohousing nella nostra realtà, è necessario indicare che si sviluppa come normale evoluzione della costante analisi da parte degli operatori del centro, dei bisogni e delle criticità dei percorsi degli utenti che afferiscono al percorso comunitario terapeutico. Già negli anni 90 il fondatore della Comunità coglie che il solo approccio Terapeutico Riabilitativo non sarebbe stato sufficiente a rispondere alle necessità degli ospiti, ponendo l’attenzione per coloro che per età, condizione sociale, assenza o insufficiente presenza della rete familiare, e condizioni di salute precarie si sarebbero trovati soli alla fine del percorso. L’elevata fragilità dei soggetti coinvolti nel percorso di recupero, rese evidente l’elevata probabilità di recidivare nel momento in cui la persona sarebbe rientrata in autonomia nel Contesto familiare e/o sociale. Queste realtà complesse spinsero Don Luigi, fondatore della Comunità terapeutica, ad affiancare alla Comunità una Cooperativa sociale di tipo A e B per creare opportunità di carattere abitativo e  lavorativo, agli utenti che avessero terminato il percorso e che necessitavano di un aggancio relazionale importante al fine di preservare i cambiamenti fin qui conseguiti, preservando però un naturale bisogno di maggior autonomia ed autodeterminazione, che non era possibile sviluppare all’interno del contesto comunitario. Fattore importante risultava quindi il creare le condizioni all’interno delle quali il ragazzo potesse viversi nella sua centralità all’interno di un percorso di cambiamento che lo portava dalla emarginazione alla promozione del cambiamento fino alla testimonianza del medesimo, al fine di creare nella persona le condizioni per sperimentare e far propri nuovi e più funzionali stili di risposta alle criticità che in precedenza sfociavano nell’uso di sostanze.  Ad oggi la stabilità residenziale la si può considerare positiva per una limitata quota dei pazienti, in particolare per quelli originariamente dimessi dagli ospedali psichiatrici, e per quella relativamente piccola proporzione di pazienti con disturbi mentali gravi e cronicizzati nel tempo. Per queste persone, le strutture residenziali possono rappresentare effettivamente delle “case per la vita” e la stabilità residenziale, ossia l’adattamento a uno specifico contesto di vita pur se tutelato e limitato nella relazione con l’esterno, può essere considerata come un esito positivo, soprattutto laddove i progetti di dimissione possono trasformarsi nell’abbandono del paziente (Rapporto ISTISAN, 2023). Della stessa idea è risultata essere l’osservazione degli operatori, i quali rilevavano che alcuni ospiti ricadessero a pieno nelle criticità sopra descritte e, che i servizi, di fronte all’aumentare dell’età degli assistiti e al deteriorarsi delle loro condizioni psico/fisiche e sociali, richiedessero realtà in grado di fornire assistenza e supporto anche dopo il programma terapeutico vero e proprio. Nello stesso tempo il perdurare della permanenza all’interno del contesto comunitario risultava essere iatrogeno della cronicità e di un impoverimento delle risorse di autonomia personale, e quindi l’acquisizione di abilità necessarie per condurre una vita indipendente acquisite all’interno del contesto comunitario, ovvero  nel contesto protetto e supportivo, non assicura che tali abilità vengano poi generalizzate e utilizzate in contesti non protetti. La riduzione della maglia contenitiva della Comunità permette alla persona di esporsi alle situazioni di maggior criticità e di provare a mettere in atto le strategie alternative apprese nel contesto precedente.

 

  1. Il Gruppo appartamento

L’osservazione delle differenze di funzionamento individuali, sia in criticità che di risorse, ha reso necessario, nel Luglio del 2015, strutturare due diverse tipologie di appartamenti: Convivenza Anagrafica orientata a fornire risposte a quella fascia di utenza tendente alla cronicità, o per quelle persone prive, o quasi, di rete sociale e familiare;  Abitare Supportato una realtà in cui gli ospiti sperimentano se stessi in un ambiente che spinge ad essere più autonomi e responsabili, ma dove la presenza dello staff diventa il punto di riferimento per persone che, a causa di criticità relazionali, cognitive e psicologiche, sono fragili e difficilmente potrebbero sperimentarsi tout court nel contesto sociale in piena autonomia, necessitando di un ambiente dove poter sperimentare le proprie criticità e nel contempo riconoscere ed accettarne la valenza soggettiva.

Fig.1 Criteri di inclusione per tipologia di cohousing

Convivenza Anagrafica Abitare Supportato
Difficoltà nella cura della persona (igiene, farmaci, salute, alimentazione) Maggior livello di funzionamento  nelle abilità primarie della cura del sé
Alta cronicità per elevati deficit funzionali Maggior livello di funzionamento  nelle abilità relazionali
Facile tendenza a reattività passive Gestione del denaro, del tempo libero e capace nel funzionamento sociale
Bassa consapevolezza dei propri meccanismi d’azione e basso insight Capacità di gestione rapporti con le varie agenzie di comunità
Scarsa autonomia gestionale Autonomia presente con necessità supporto
Alta richiesta di supporto diparte dell’operatore Bassa richiesta dell’operatore

Si ribadisce che punto trasversale d’osservazione, in entrambi i casi, è rappresentato dal marcato desiderio sperimentato dalla persona di voler riacquistare subito la propria autonomia, quasi a voler cancellare parte dei propri vissuto fallimentari, ma nel contempo si trova a fronteggiare difficoltà e fragilità personali che se non ascoltate risulterebbero essere fattori di recidiva: l’agognata autonomia che si scontra con la solitudine e le difficoltà relazionali.Il modello, delle SAS (supported housing), suggerisce la necessità di realizzare progetti terapeutico riabilitativi personalizzati fondati sui bisogni della persona (Barbato et al., 2020), ponendo molta enfasi sulla scelta da parte della persona del contesto in cui vivere, piuttosto che basarsi sulla semplice disponibilità di posti residenziali, sottolineando la necessità di un attivo coinvolgimento della persona in tutte le scelte che lo riguardano. Le prospettive più recenti indicano che, per raggiungere una reale integrazione nella comunità, i pazienti hanno bisogno di servizi che non si limitino al fornire alloggio e riduzione dei sintomi, ma piuttosto che mirino a sostenere le persone con gravi problemi di salute mentale a raggiungere i loro obiettivi sociali come l’istruzione, il lavoro, una relazione sentimentale stabile, e la salute, definiti all’interno del progetto personalizzato. Un discorso a parte, riguarda il contesto del mondo lavorativo, verso il quale vi deve essere lo stesso approccio graduale e lineare che si sta sperimentando per il SAS, in quanto troppo ampio è il salto da un contesto ergoterapico (a bassissima intensità lavorativa) ad un contesto lavorativo tout court.        

Fig.2 Criteri di elezione per una buona tenuta ed efficacia del gruppo appartamento

Fattori abilitanti Fattori disgreganti
Riproduzione di uno stile familiare, con le stesse dinamiche e le stesse abitudini La non partecipazione ad un modello familiare (per dinamiche, abitudini e valori)
Richiesta motivata del ragazzo Non rispetto delle regole
consapevolezza ed accettazione delle problematiche personali Non riconoscimento ed accettazione dei propri bisogni
abbracciare e far propri valori, stile di vita e regole del centro Narcisismo ed antisocialità
Assunzione di ruoli e responsabilità Difficoltà relazionali
Prendersi cura dell’altro

  Tali fattori devono essere inseriti all’interno del Contratto di Cura che viene fatto con la persona, all’interno del quale vi deve essere inoltre una definizione di tempi ed obiettativi rivedibili ogni 6 – 12 mesi. Nel medesimo deve essere inoltre definita e condivisa la gestione delle autonomie sviluppandole e verificandole in modo crescente (dall’igiene personale, a quello abitativo, l’alimentazione, il denaro, il tempo libero ecc), affiancando il tutto con le verifiche settimanali con l’operatore.

Il Progetto educativo-riabilitativo individuale (P.E.R.I)

Il Gruppo Appartamento è un’abitazione che riproduce un ambiente familiare in grado di accogliere e soddisfare le esigenze di autonomia della persona, e nel contempo offre una risposta adeguata ai bisogni primari, garantendone la continuità della cura dell’igiene e del mantenimento delle abilità residue della persona mirando non solo al mantenimento, con la finalità quindi di preservarlo dal deterioramento ma anche al recupero ed all’implementazione delle risorse e potenzialità della persona, là dove possibile.L’intervento esula dal percorso comunitario terapeutico classicamente inteso, sfruttandone però gli elementi caratterizzanti quale l’inserimento all’interno di un piccolo gruppo a prevalente connotazione familiare, e nel contempo sfruttando il forte aggancio relazionale con la struttura di appartenenza (gli operatori della comunità), le attività ergoterapeutiche, sempre sotto la diretta osservazione di personale qualificato. Dalla nostra esperienza quotidiana frequentemente si osserva che la valorizzazione delle capacità residue di tali pazienti, affiancata all’offerta di maggiori margini d’autonomia può garantire una maggior stabilizzazione dei pazienti all’interno della progettualità, riducendo di gran lunga l’effetto “porta girevole” a cui sovente assistiamo, con una notevole riduzione dei costi sociali. 2.     Valutazione del progetto

Sono stati analizzati gli esiti del progetto di cohousing di 8 pazienti maschi, con un’età media di 60 anni (min39-max63), per valutare il funzionamento complessivo della persona ogni sei mesi e ricavare, attraverso confronto diretto col paziente, le informazioni più precise per identificare quali sono i suoi bisogni psicosociali prioritari e fornire evidenze in ordine all’efficacia dell’esperienza di cohousing.

In particolare sono stati utilizzati i seguenti strumenti:

  1. i) Qualità della vita e benessere: per valutare la qualità della vita e il benessere con evidenza dei fattori ambientali che limitano l’espressione e la partecipazione sociale, è stato somministrato il questionario ICF-Dipendenze (Pasqualotto, 2016) che consente una valutazione multidimensionale della persona. Nello specifico sono stati analizzati i seguenti items: D1-apprendimento e applicazione delle conoscenze; D2-compiti e richieste generali; D3-comunicazione; D4-mobilità; D5-cura di sé; D6-vita domestica; D7- interazioni e relazioni interpersonali; D8-principali aree di vita; D9-vita sociale, civile e di comunità in relazione alla Performance (P) e alle Capacità (C).

Quando la performance è peggiore della capacità significa che sono presenti delle “barriere” nel contesto di vita. Analogamente, quanto la performance è migliore della capacità sono presenti dei “facilitatori”.

ii) Salute fisica e mentale auto-percepita: per valutare l’impatto del cohousing sulla salute fisica e mentale auto-percepita è stata utilizzata la scala SCL90, composta da 90 domande che riflettono le 9 dimensioni che sottendono la maggior parte dei sintomi che si osservano in chi soffre di disturbi psichici.  Questo test aiuta a capire i problemi del paziente e definire il percorso più corretto in relazione alle seguenti aree: somatizzazione (SOM), disagio ossessivo compulsivo (C-O), sensibilità interpersonale (INT), depressione (DEP), ansia (ANX), ostilità (HOS), fobie (PHOB), paranoia (PAR), psicoticismo (PSY), disturbi del sonno (SLEEP), valutazione complessiva del disagio (GSI).

3.     Risultati  ICF-Dipendenze

In linea generale i punteggi medi sono minori di 2 descrivendo difficoltà moderate nelle varie aree indagate. I punteggi di Capacità sono generalmente superiori a quelli di Performance evidenziando l’azione positiva dei facilitatori. Prevalentemente i facilitatori più frequentemente intervenuti sono: sostegno della famiglia ristretta (e310), sostegno di conoscenti, compagni, vicini di casa (e325), sostegno di datori di lavoro (e330), sostegno di persone che forniscono aiuto e assistenza  (e340).Nella parte del questionario dedicata ai Fattori Ambientali 5/8 e 4/8 degli utenti descrivono insufficienti o inadeguate le caratteristiche delle persone con cui convivono e gli aspetti ambientali e climatici del luogo abitato (criticità nei fattori E215-E225). Gli ospiti del co-housing presentano difficoltà a comprendere gli stati mentali personali, a ragionarci sopra e ad utilizzare tale conoscenza per capire cosa loro stessi e gli altri provano e pensano, per vivere una vita sociale più ricca, per risolvere conflitti e realizzare le proprie mete, aspettandosi al contrario che sia l’altro o il contesto ad adattarsi o a comprendere le proprie necessità. Scarsa è anche la capacità di vivere gli ambienti come un bene di cui prendersi cura ed adoperarsi per mantenerli ordinati/puliti, anche in questo caso vi è sempre la tendenza di aspettarsi che l’altro faccia, l’altro prenda l’iniziativa e raramente ci si scopre ad essere l’altro. Tre ospiti su 8 esprimono uno scarso sostegno da parte degli amici a conferma della povertà dell’ambiente sociale delle persone con problematiche complesse (fattore E320). Infine 4 utenti su 8 ritengono di non avere a disposizione servizi, sistemi e politiche previdenziali/assistenziali rispondenti ai loro bisogni (E570). Si osserva un certo atteggiamento di immobilismo nei confronti delle istituzioni, con difficoltà a promuovere in sé una ricerca attiva verso le varie agenzie del territorio.

Fig 3 Sintesi delle ultime valutazioni del profilo di funzionamento ICF-dipendenze

Range= 0: Nessuna difficoltà a 4: Difficoltà completa

  SCL90Per quanto riguarda la scala SCL90 i profili degli utenti sono abbastanza eterogenei ad eccezione di un utente il cui profilo evidenzia criticità in tutte le aree. Le difficoltà maggiormente condivise dal gruppo sono quelle riguardanti i disturbi del sonno, criticità frequentemente lamentata dagli individui con dipendenza patologica.

Fig. 4 Risultati della somministrazione dell’SCL 90

Range= 0: per niente a 4: moltissima

4.     Conclusioni

I risultati emersi dalla ricerca sono coerenti con altri studi che riportano la relazione tra supporto sociale e salute e benessere. Ad esempio, la mancanza di una rete sociale e di supporto, l’isolamento sociale e la solitudine sono collegati a scarsi risultati di salute cardiovascolare e mentale. Al contrario, vivere in una comunità caratterizzata da livelli più elevati di comunicazione e mobilitazione è positivamente associato allo stato di salute auto-valutato dei residenti. Inoltre, è stato dimostrato che un elevato sostegno sociale e la partecipazione alle reti sociali allevia lo stress nelle persone, impedendo loro di sviluppare un declino funzionale e problemi di salute mentale. Lo studio qui presentato sui  percorsi realizzati nell’arco di oltre 20 anni, conferma che la forma del cohousing risulta essere un determinante della salute maggiormente eleggibile in quanto contrasta le forme di solitudine e di emarginazione, fornisce supporto emotivo tra pari e contenimento. E’ necessario procedere secondo tempi, lenti, graduali e scanditi dal soggetto. In ultima è necessario evidenziare le difficoltà degli operatori di passare dall’idea della gestione e dell’accudimento all’idea che l’autonomia e l’autodeterminazione come fattori centrali da conseguire con un ruolo centrale del soggetto nel processo di cambiamento, ed il proprio ruolo via via meno supportivo, al crescere delle abilità del medesimo.

 

Bibliografia

Barbato A, D’Avanzo B, Harvey C, Lesage A, Maone A,  2020, Editorial: from residential care to supported housing. Front Psychiatry, Jun 12;11:560

Carrere J, Reyes A, Oliveras L, Fernández A, Peralta A, et al (2020), The effects of cohousing model on people’s health and wellbeing: a scoping review, Public Health Reviews volume 41: 22

Pasqualotto L, (a cura di) ICF-Dipendenze, Erickson, Trento, 2016

Rapporto ISTISAN 2023, ISSN:2384-8936-residenzialità psichiatrica